Dal fast al pàp? Sta succedendo sotto gli occhi di tutti, ma sembra che nessuno se ne voglia accorgere. Sto parlando della mutazione genetica del fast fashion, una metamorfosi che sembra inarrestabile. Le conseguenze le scopriremo abbastanza presto, appena le strategie del fast fashion appunto, posizioneranno i marchi nella fascia che prima della dittatura dei beni di lusso era di competenza del prêt-à-porter. Un traguardo a cui i marchi della moda a basso prezzo, finora tanto criticati per i noti problemi di produzione e sostenibilità, stanno arrivando percorrendo la strada dell'innalzamento dell'immagine.
Il primo segnale arriva dalle nomine di direttori creativi presi tra coloro che prima dirigevano i grandi marchi del lusso e poi, per qualche strano caso del destino, sono rimasti senza occupazione. Dopo che Zac Posen è stato nominato direttore creativo dell'americana Gap e che il giapponese Uniqlo, non propriamente un marchio di fast, ha nominato Clare Waight Keller alla direzione creativa, ha stupito che anche Zara abbia scelto Stefano Pilati per fargli disegnare una capsule collection di 100 pezzi.
Ma il segnale più forte è arrivato quando la collezione è stata promossa da una campagna pubblicitaria affidata a quel grande costruttore di immaginari che è Steven Meisel. Con uno spot e una campagna pubblicitaria in cui ha coinvolto lo stesso stilista e top model fin troppo riconoscibili come Gisele Bündchen. L'operazione è molto diversa da quando H&M fece disegnare delle capsule a Karl Lagerfeld e perfino a Rei Kawakubo o Donatella Versace. Qui l'operazione serve per posizionare il marchio proprio in quella fascia di consumatori che non può più permettersi di accedere ai prodotti del marchio del lusso.
E quindi quel prêt-à-porter che non esiste più perchè è diventato, per prezzi e per fattura, un'alta moda pronta, sta per essere un appannaggio degli ex produttori di fast fashion. Un regalo e una legittimazione che hanno ricevuto proprio dalle aziende del lusso e che loro gestiscono con molta nonchalance.
Il primo segnale arriva dalle nomine di direttori creativi presi tra coloro che prima dirigevano i grandi marchi del lusso e poi, per qualche strano caso del destino, sono rimasti senza occupazione. Dopo che Zac Posen è stato nominato direttore creativo dell'americana Gap e che il giapponese Uniqlo, non propriamente un marchio di fast, ha nominato Clare Waight Keller alla direzione creativa, ha stupito che anche Zara abbia scelto Stefano Pilati per fargli disegnare una capsule collection di 100 pezzi.
Ma il segnale più forte è arrivato quando la collezione è stata promossa da una campagna pubblicitaria affidata a quel grande costruttore di immaginari che è Steven Meisel. Con uno spot e una campagna pubblicitaria in cui ha coinvolto lo stesso stilista e top model fin troppo riconoscibili come Gisele Bündchen. L'operazione è molto diversa da quando H&M fece disegnare delle capsule a Karl Lagerfeld e perfino a Rei Kawakubo o Donatella Versace. Qui l'operazione serve per posizionare il marchio proprio in quella fascia di consumatori che non può più permettersi di accedere ai prodotti del marchio del lusso.
E quindi quel prêt-à-porter che non esiste più perchè è diventato, per prezzi e per fattura, un'alta moda pronta, sta per essere un appannaggio degli ex produttori di fast fashion. Un regalo e una legittimazione che hanno ricevuto proprio dalle aziende del lusso e che loro gestiscono con molta nonchalance.
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