Due anni fa un referendum sanciva l’anessione della Crimea alla Russia.
Il voto degli abitanti della penisola, a maggioranza di etnia russa, decretava al 96% il ritorno sotto il controllo di Mosca.
La penisola riveste da sempre un ruolo strategico nel braccio di ferro che vede contrapposti potenze occidentali e Stati appartenenti all’ex blocco sovietico, ma non solo ospita una delle quattro flotte della marina militare russa: 11.000 effettivi e circa 60 navi.
Nel 1954 il leader sovietico Nikita Krusciov regala la penisola all’Ucraina per celebrare i 300 anni dell’Unione con la Russia.
Nell’ambito dell’Unione Sovietica si tratta di un passaggio di giurisdizione amministrativa che non comporta grandi cambiamenti, al massimo il cambio di qualche insegna.
Molti dirigenti sovietici dell’epoca, però lo ritennero un errore storico.
Nel 1992, in seguito alla caduta del blocco sovietico, la Crimea proclama la propria indipendenza. Il governo autonomo decide comunque di rimanere all’interno dell’Ucraina come Repubblica autonoma, con un proprio parlamento e un governo che ha sede a Simferopol.
Il controllo russo del porto di Sebastopoli, rinnovato fino al 2042 nel 2010, ben prima della crisi, consente alla flotta russa di mantenere un importante presidio sulle coste che si affacciano sul Mar Nero e garantisce alla marina di Putin uno sbocco sul Mar di Marmara e, da qui, sul Mediterraneo.
Nel febbraio del 2014, con la caduta del presidente filorusso Viktor Ianukovich e la presa del potere da parte dell’opposizione nazionalista e filo-europea, il Parlamento della Crimea decide di indire un referendum per staccarsi da Kiev.
I filo-russi scendono in piazza per sostenere la causa della secessione.
La Russia, che non riconosce il nuovo governo di Kiev invia uomini e mezzi per presidiare i principali centri della penisola, oltre a numerosi mezzi blindati.
Il governo provvisorio di Kiev denuncia “l’invasione” e ribadisce a Mosca la volontà di non cedere la Crimea.
Il 20 marzo, 4 giorni dopo il referendum, il trattato di adesione è ratificato dalla Duma.
Trattato dichiarato illegittimo dall’ Unione europea che ha prolungato fino al giugno 2017 le sanzioni economiche contro la penisola.
Il trattato non è riconosciuto dall’Ucraina che considera ancora la penisola di Crimea parte del suo territorio temporaneamente occupato.
Anche l’Assemblea generale dell’Onu, con la risoluzione del 27 marzo del 2014, ha respinto la validità del referendum in Crimea.
Il voto degli abitanti della penisola, a maggioranza di etnia russa, decretava al 96% il ritorno sotto il controllo di Mosca.
La penisola riveste da sempre un ruolo strategico nel braccio di ferro che vede contrapposti potenze occidentali e Stati appartenenti all’ex blocco sovietico, ma non solo ospita una delle quattro flotte della marina militare russa: 11.000 effettivi e circa 60 navi.
Nel 1954 il leader sovietico Nikita Krusciov regala la penisola all’Ucraina per celebrare i 300 anni dell’Unione con la Russia.
Nell’ambito dell’Unione Sovietica si tratta di un passaggio di giurisdizione amministrativa che non comporta grandi cambiamenti, al massimo il cambio di qualche insegna.
Molti dirigenti sovietici dell’epoca, però lo ritennero un errore storico.
Nel 1992, in seguito alla caduta del blocco sovietico, la Crimea proclama la propria indipendenza. Il governo autonomo decide comunque di rimanere all’interno dell’Ucraina come Repubblica autonoma, con un proprio parlamento e un governo che ha sede a Simferopol.
Il controllo russo del porto di Sebastopoli, rinnovato fino al 2042 nel 2010, ben prima della crisi, consente alla flotta russa di mantenere un importante presidio sulle coste che si affacciano sul Mar Nero e garantisce alla marina di Putin uno sbocco sul Mar di Marmara e, da qui, sul Mediterraneo.
Nel febbraio del 2014, con la caduta del presidente filorusso Viktor Ianukovich e la presa del potere da parte dell’opposizione nazionalista e filo-europea, il Parlamento della Crimea decide di indire un referendum per staccarsi da Kiev.
I filo-russi scendono in piazza per sostenere la causa della secessione.
La Russia, che non riconosce il nuovo governo di Kiev invia uomini e mezzi per presidiare i principali centri della penisola, oltre a numerosi mezzi blindati.
Il governo provvisorio di Kiev denuncia “l’invasione” e ribadisce a Mosca la volontà di non cedere la Crimea.
Il 20 marzo, 4 giorni dopo il referendum, il trattato di adesione è ratificato dalla Duma.
Trattato dichiarato illegittimo dall’ Unione europea che ha prolungato fino al giugno 2017 le sanzioni economiche contro la penisola.
Il trattato non è riconosciuto dall’Ucraina che considera ancora la penisola di Crimea parte del suo territorio temporaneamente occupato.
Anche l’Assemblea generale dell’Onu, con la risoluzione del 27 marzo del 2014, ha respinto la validità del referendum in Crimea.
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