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Roma, 24 ott. (askanews) - Giovani, cyberbullismo e drammatica attualità alla Festa del Cinema di Roma, dove insieme ad Alice nella città, sezione autonoma e parallela dedicata ai ragazzi, è stato presentato "Il ragazzo dai pantaloni rosa", nelle sale dal 7 novembre, che racconta la storia di Andrea Spezzacatena, un ragazzo solare e pieno di vita che a 15 anni si è tolto la vita nel 2012, lasciando tutti sgomenti. Sua madre, Teresa Manes, dopo la morte ha ricostruito l'inferno passato dal figlio, preso in giro anche sui social, soprattutto dopo aver indossato dei pantaloni stinti da sua madre in un lavaggio sbagliato, diventati rosa, e da allora, attraverso libri e testimonianze nelle scuole, ne continua a parlare il più possibile.La regista Margherita Ferri ha detto di aver voluto fare un film sulla vita, non sulla morte di Andrea, così come chiesto anche da sua madre."In una riunione che abbiamo fatto lei ci ha detto che si aspettava un film pieno di vita, vitale, e questo è stato un faro per la lavorazione del film; abbiamo voluto celebrare la vita di un ragazzo, nonostante il tragico epilogo, che fosse come un invito a rivedere la vita di Andrea e a riflettere sul peso delle parole e delle azioni verso gli altri".A interpretare Andrea e Teresa ci sono Samuele Carrino e Claudia Pandolfi, nel film hanno un rapporto sereno e spensierato. "Ho sentito molto la responsabilità di questo racconto, da interprete, da essere umano che si muove in questa società, sono mamma, questa storia ci riguarda da vicino tutti, sorprendentemente, più di quanto ci immaginiamo, ed era un film davvero da fare e con questo atteggiamento di grande rispetto". "L'importanza di questo film è enorme, deve colpire il cuore di tutti, anche delle persone più dure, deve far sciogliere il cuore di tutti" ha aggiunto Samuele Carrino.Il film è raccontato dall'ipotetica voce del ragazzo dall'aldilà ed è un forte monito sulla pericolosità dei gesti, delle parole e dei rischi in un mondo sempre più social e fatto di apparenze in cui anche il bullismo è più subdolo."Adesso basta essere complici di qualcuno che lo scrive, protetto da uno schermo, io ti insulto, tu metti un like e dall'altra parte c'è qualcuno che subisce pesantemente tutto questo, ed è così tentacolare e rapida la diffusione che è davvero pericolosa", ha concluso Pandolfi.

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